Prime Esperienze
PRANOTERAPIA 3 (le beghine)
di Rosagiorg
23.03.2024 |
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"«Insomma, cosa avete questa mattina? Mi state monopolizzando il locale!» intervenne a gamba tesa la ragazza del bar, facendomi tirare un sospiro di sollievo:..."
Si sa com’è, da una battuta vaga, ognuno aggiunge qualcosa, la fantasia si somma ai fatti accertati e le chiacchiere navigano nel mare degli: “ho sentito”, “mi hanno raccontato”, “ma ti rendi conto”…Fu così che nei giorni successivi mi sentii addosso lo sguardo indagatore ed interessato delle due signore, che, il giovedì della settimana precedente, si accompagnavano al mercato con la zia della mia amica.
«Chissà cosa le avrà raccontato?» continuavo a chiedermi, «mi aveva garantito di essere stata discreta, ma, mi sa, che qualche particolare le è sfuggito.»
Mentre, al bar, mi arrovellavo in questi pensieri, con la testa fintamente immersa nella lettura del quotidiano locale, di sottecchi osservavo le due signore, più una terza arrivata dopo di me, che, sorbendo i loro caffè, discutevano fittamente senza mancare di guardare più volte nella mia direzione.
Le signore, come e forse più della zia della mia amica, erano donne senza particolari pretese: ne giovani, ne vecchie, vestite e pettinate in maniera ordinaria, dai più conosciute come devote dame di carità.
Ma, si sa, l’holy smoke, il fuoco sacro non sempre si riesce a controllare dove brucia; correva voce che una delle tre, anni prima, avesse avuto una liaison con il giovane cappellano (trasferito poi in tutta fretta). D’altra parte si sa, è famoso il detto popolare: “oggi a pregare in cappella e domani in camporella”.
«Hanno già pagato le signore.» mi disse la bella e gentile signorina del bar, quando chiesi il conto della mia colazione: avevano trovato il modo di attaccare bottone.
«Chi devo ringraziare e a cosa devo tanta gentilezza?» chiesi al terzetto con aria innocente.
«Non vorrei sembrarle sfacciata,» esordì quella che sembrava la più anziana «sa, offrire un caffè è un ottimo modo per rompere il ghiaccio.»
«Poi, ad un bel giovane come lei…» si intromise la seconda, capelli rossi ed occhiali che, ora che la vedevo da vicino, nascondevano due occhi di un azzurro intenso.
«Chissà cos’altro si potrebbe offrire.» ammiccò la terza, scostando la frangetta di neri capelli e facendomi l’occhiolino.
«Alla faccia delle beghine, queste tre, sono pantere affamate.» pensai io mentre le esaminavo attentamente e mi rendevo conto che, come per la zia della mia amica, le tre donne, spogliate della maschera convenzionale che indossavano in piazza, non erano poi male. Chissà quali qualità, sia fisiche che (im)morali, nascondevano. Il ballo era iniziato, loro avevano gettato l’amo ed io avevo deciso di abboccare.
«Cosa fai li impalato?» chiese la prima, passando repentinamente dal lei al tu, «ti abbiamo solo offerto un caffè.» Capelli castani con qualche meches bianca, che sembrava distribuita ad arte, non smetteva di fissarmi con languidi occhi verdi.
«Sembra tu ci stia facendo una radiografia,» interruppe la mia esitazione la mora, «avevamo avuto notizie sul potere delle tue mani, non sul tuo lavoro di radiologo.»
«Intanto non sono radiologo! Poi cosa vi ha raccontato la vostra sodale?» sbottai, «mi aveva garantito una certa discrezione.»
«Allora significa che c’è dell’altro!» esclamò con fare malizioso la rossa arrotolando una ciocca di capelli fra le dita. Poi rivolgendosi alle altre: «Avete visto? Ve l’avevo detto io che c’era qualcosa che non mi tornava, che la nostra amica non ce l’aveva raccontata tutta.»
«Già!» proruppero in coro le altre due.
«Adesso questo bel giovane lo torchiamo noi.» affermò la castana.
«Ehi, un momento! Ma che volete da me?» tentai di alzare un muro difensivo io, «Sono venuto al bar per bermi un caffè ed improvvisamente, mi trovo ad essere esaminato e torchiato da voi tre. Ci conosciamo appena di vista, non penso di dovervi alcunché.»
«Hai ragione,» tentò di rassicurarmi la mora fissandomi con i suoi grandi occhi scuri, «siamo state un po’ irruente. La nostra amica, oltre ad aver accennato al potere delle tue mani, non ha voluto dirci altro, si è chiusa in un silenzio che, per una ciarliera come lei, ci pareva innaturale. Poi gli sguardi, gli atteggiamenti, rivelavano che aveva qualcosa da nasconderci. Così, curiose come siamo, abbiamo deciso di indagare. Sappiamo che il baffo, suo marito, è spesso lontano per lavoro, non vorremmo che si fosse messa qualche grillo per la testa.»
«No, lei è assolutamente fedele! Il marito è sempre presente.» mi scappò di dire.
«Presente a cosa?» reclamarono in coro le tre.
«Insomma, cosa avete questa mattina? Mi state monopolizzando il locale!» intervenne a gamba tesa la ragazza del bar, facendomi tirare un sospiro di sollievo: potevo svicolare dalla discussione e forse la mia gaffe sarebbe stata dimenticata.
Non sapevo con chi avevo a che fare, le tre, come mastini, non avrebbero mollato la presa.
Uscito dal locale, tentai di dileguarmi, non è che le tre mi fossero indifferenti, ma avrei preferito non rischiare di trovarmi in qualche situazione imbarazzante. Non avevo fatto che pochi passi quando fui arpionato dalla rossa: «Dai, non scappare, adesso ci hai messo ancora più curiosità. Siamo pie donne, ma abbiamo qualcosa che brucia dentro pure noi.»
«Non sono, né un fuochista, né un pompiere,» tentai di schermirmi io, «non è mia intenzione né accendere il vostro fuoco, né spegnerlo e tantomeno spiattellarvi alcunché sulla vostra amica.»
«Stammi bene a sentire, bel giovine, le nostre non sono richieste,» intervenne in maniera autoritaria la castana, «sono ordini! Siamo le quattro custodi della moralità del nostro paesello e non possiamo permettere che una di noi cada in tentazione.»
Il mio sguardo esterrefatto rivelava che la castana aveva colpito nel segno. Mentre mi chiedevo come uscire dal verminaio in cui mi ero cacciato, la rossa mi prese la mano e, dal sussulto che fece, capii che l’unica strada da percorrere era legata al potere delle mie mani. Forse la moralità del paesello passava proprio dall’energia che promanava dalle mie dita.
«D’accordo, trovate un luogo adatto, che non sia la piazza del mercato, per approfondire i nostri discorsi,» cedetti io, «ma ad un patto però: non è nel mio stile, né nella mia morale, dire o fare cose alle spalle di qualcuno. Quindi dovrete esserci tutte e quattro, voi tre e la vostra amica oggetto delle vostre indagini.»
«Ma cos’è, un processo?» sbottò la mora.
«Lascia, lascia! Ok, accettiamo le tue condizioni,» chiuse la discussione la più anziana, «ci vediamo alle venti, dopo la messa vespertina, a casa mia. Sono vedova e per casa non ho nessuno che possa rompere le palle. Ehm, scusate, mi è scappato, non volevo essere triviale. Comunque ci sarà anche la nostra amica, statene certe, ho buoni argomenti per convincerla.»
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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